Lo sciopero generale del sindacalismo di base dell’11 Ottobre ha, con ogni evidenza, due caratteristiche nuove rispetto a ciò che è avvenuto negli ultimi anni, specificità che è bene tenere presenti.
Dal punto di vista formale, il termine non ha però in alcun modo un significato riduttivo, è la prima volta da anni che viene indetto unitariamente da un cartello di sindacati che coincide con l’insieme del sindacalismo di base: Adl Cobas – Cib Unicobas – Clap- Confederazione Cobas – Cobas Scuola Sardegna – Cub – Fuori Mercato – Sgb – Si Cobas –SIAL Cobas – Slai Cobass.C. – Usb – Usi Cit.
Ovviamente l’indizione comune di uno sciopero non comporta automaticamente l’avvio di processi di ricomposizione di un’area frastagliata e caratterizzata da divisioni, le cui ragioni non possono essere ridotte a beghe fra gruppi dirigenti: basti pensare all’attitudine che si ha rispetto alla firma dei contratti, alle forme di organizzazione, alle culture politiche di riferimento. È, però, un segnale che quest’universo sindacale è consapevole della gravità di una situazione segnata dalla crescita della povertà assoluta, dalla precarizzazione del lavoro, dai licenziamenti e dagli sfratti, da una serie di gravi crisi aziendali, una consapevolezza presente sia nei lavoratori e nelle lavoratrici che organizza al suo interno sia dei delegati, dei militanti e dei gruppi dirigenti.
Lo stesso fatto che questo sciopero sia, nei suoi limiti, unitario ha sollevato in misura decisamente superiore rispetto al passato l’interesse di settori di movimento, di associazioni impegnate in difesa della sanità, dell’ambiente e dei diritti, delle forze politiche fuori dall’attuale quadro istituzionale – cosa che rende possibile (nulla è scontato ma già la possibilità è in sé preziosa) l’allargamento del fronte disposto a mobilitarsi ben al di là dei lavoratori organizzati nel sindacalismo di base, conflittuale, libertario e, soprattutto, rende possibile un più saldo e robusto intreccio fra lotta per il salario, quella per il reddito e i movimenti di opposizione sociale.
La partita più importante, quella su cui si misurerà l’utilità e l’efficacia dello sciopero dell’11 ottobre sarà la capacità di farne, contemporaneamente, un momento di unificazione delle lotte aziendali, categoriali, locali che comunque si danno, nonché un’occasione di definizione di una piattaforma generale condivisa e capace di orientare l’azione immediata in una prospettiva di medio e lungo periodo.
A questo proposito, basti riflettere sulle vertenze delle aziende che licenziano, viene in mente subito la GKN che è il caso più noto ma si tratta di molte, troppe, situazioni. È perfettamente noto ai militanti ma anche ai lavoratori che le vertenze aziendali contro i licenziamenti sono condannate a un percorso difficilissimo, costellato di lotte, contrattazioni, pressioni sul potere politico che conducono di norma, se va bene, all’ottenimento di una qualche forma di tutela per i lavoratori licenziati, a una riduzione dei licenziamenti e, in buona sostanza, alla “riduzione del danno”. Può valere la pena, a questo proposito, di riportare un breve brano da un articolo di Andrea Bagni sulla lotta dei lavoratori GKN di Campi Bisenzio sul numero 2 di Collegamenti, per l’Organizzazione Diretta di Classe:
“Ma parlano del loro lavoro al passato. Stanno partecipando alla lotta, non perdono un appuntamento, però pensano tutti che in questa fabbrica che dorme lì accanto non torneranno più. Non dorme – è in coma, per quanto indotto. Irreversibile. Pensano che non ci sarà nulla da fare. Uno, il più alternativo – barba alla Dragowski e orecchino, un tempo capelli rasta – dice che si dovrebbe farci un parco giochi, con scale, scivoli e i robot che fanno salire e scendere i bambini come in una giostra. Non è il linguaggio dei leader della lotta.”
Pure la mobilitazione della GKN ha suscitato interesse, passione, mobilitazione e ha visto insieme, capita anche questo, settori del sindacalismo istituzionale, il sindacalismo di base e, soprattutto, accanto alla comunità proletaria costituita dai lavoratori della GKN, ampi settori di movimento e ha dato un segnale politico e culturale forte rimettendo al centro la contraddizione capitale-lavoro in un universo sociale che sembrava averla rimossa.
Altrettanto importante dal punto di vista qualitativo, e di dimensioni maggiori, è oggi la crisi determinata dal passaggio da Alitalia a ITA con le migliaia di licenziamenti che comporta e di fronte a un governo che procede sulla strada dello smantellamento dell’azienda con una determinazione senza precedenti.
Siamo di fronte a una vicenda che dura da anni, che ha visto i lavoratori e le lavoratrici dipendenti dall’Alitalia e quelli degli appalti impegnati in decine di scioperi, manifestazioni, presidi contro i governi di diverso colore che hanno gestito questo caso di macelleria sociale e, quasi sempre, contro i sindacati concertativi che hanno assecondato la politica governativa in cambio del riconoscimento del loro potere e delle loro entrate. È un altro pezzo delle vicende della nostra classe da cui si può uscire in avanti solo se si dà una prospettiva generale anche se, va da sé, la lotta che oggi impegna i lavoratori e le lavoratrici di Alitalia deve vedere la massima solidarietà. Anche su questa vicenda sul numero 2 di Collegamenti, per l’Organizzazione Diretta di Classe vi è un ampio articolo che ne ricostruisce lo sviluppo decennale.
È molto, ma è evidente che serve di più: si tratta oggi, più che mai, di costruire una campagna sulla riduzione radicale dell’orario di lavoro, una campagna che può vedere assieme il sindacalismo di base e, soprattutto, coinvolgere ampia parte, decisamente la maggioranza, della nostra classe. Nell’attuale situazione non è certo un obiettivo né immediato né facilmente realizzabile ma è una direzione di marcia su cui lavorare in una prospettiva necessariamente internazionale.
In ogni vertenza locale e aziendale, in ogni mobilitazione per i contratti, nell’impegno per tenere assieme i lavoratori e le lavoratrici direttamente dipendenti dalle aziende e quelli e quelle del pulviscolare universo degli appalti, il tema va sollevato, articolato, discusso nelle assemblee, fatto oggetto di studio e, contemporaneamente, di propaganda.
Una considerazione analoga vale per l’azione di contrasto alla precarizzazione del lavoro. Vi è chi ritiene che la partita per la ricomposizione unitaria della nostra classe sia una partita persa anche a petto del salto di paradigma produttivo determinato dal diffondersi del lavoro a distanza favorito, fra l’altro, dalla situazione determinatasi con il Covid ma che di molto la precede e che, soprattutto, tenderà con ogni probabilità a diffondersi per non parlare del carattere sempre più globalizzato della produzione. È necessario, al contrario, affermare che una tale questione va affrontata con determinazione sia sul piano della ricerca e della conoscenza sia, soprattutto, su quello dell’azione.
Nei mesi passati le mobilitazioni dei ciclofattorini e quelle dei lavoratori dello spettacolo, ancora una volta sono solo degli esempi, ci dimostrano che è la stessa pressione del capitale e l’irrompere della crisi a determinare nuovi terreni di lotta e di organizzazione, nuove forme di organizzazione, nuove culture politiche e forme di linguaggio diverse da quelle in cui molti di noi si sono formati ma proprio per questo motivo importanti.
Lo sciopero dell’11 Ottobre, la cosa è sgradevomente normale, non si svolgerà in laboratorio, in una situazione semplice.
Il quadro politico vede una maggioranza tanto composita quanto massiccia e, soprattutto, una pressione per l’unità della nazione di fronte alla pandemia: non è la prima volta che ciò accade ma stavolta ha caratteri particolari ed è particolarmente pervasiva,
L’attuale imposizione del green pass, infatti, è con ogni evidenza un distrattore di massa, un modo per spostare l’attenzione dalle responsabilità del padronato e del governo per quel che riguarda la situazione della sanità, della scuola, dei trasporti e dalla natura di per sé nociva dell’attuale ordine produttivo e sociale e per individuare nei non vaccinati un capro espiatorio.
Si ha oggi l’impressione che nei bar non si discuta più, o non si discuta solo, di calcio e che la batracomiomachia fra SI Vax e NO Vax abbia occupato lo spazio pubblico persino, purtroppo, fra alcuni dei nostri compagni con toni sovente inaccettabili.
Con lo sciopero sarà, invece, possibile rimettere al centro la questione sociale nei suoi termini reali, magari meno suggestivi del tifo pro o contro i virologi e gli epidemiologi ma, se si hanno posizioni chiare ben più interessanti ed appassionanti da capire.
La partita che dobbiamo affrontare per il salario, il reddito, il diritto all’abitare e alla salute, la difesa dell’ambiente, l’opposizione alle spese militari e agli attacchi alle libertà di sciopero, organizzazione, manifestazione è, con ogni evidenza, la vera partita.
Se su queste priorità sapremo contribuire a costruire un comune sentire nei movimenti e nelle lotte, se sapremo definire dei passaggi organizzativi efficaci sul piano politico, culturale, sindacale avremo colto l’importanza dello sciopero e ne avremo fatto non un punto di arrivo al quale segue il solito “tana libera tutti” ma un punto di partenza sarà una gran cosa; finora lo si è affermato sin troppo spesso senza riuscire a dare seguito alle buone intenzioni ma, adesso, ci si deve impegnare sul serio in questa direzione.
Se si riuscirà a fare dello sciopero dell’11 Ottobre un passaggio in questa direzione, sono ipotizzabili – ipotesi che vanno poi sostenute con l’azione puntuale – anche processi unitari sul piano sociale e sindacale che sono un bene di per sé e, dal punto di vista politico e progettuale, una condizione favrevole anche se non meccanicamente sufficiente perché l’intervento in una prospettiva più generale di critica del capitalismo e dello stato possa svilupparsi oltre gli attuali limiti: proprio perché efficacia immediata nell’azione e visione di lungo periodo non solo non sono in contrapposizione ma si rafforzano e arricchiscono a vicenda.
Cosimo Scarinzi